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La «tenaglia francese» che minaccia la sinistra europea

03/12/2016

unitaL’annunciato ritiro di François Hollande dalle presidenziali non sancisce soltanto la sua personale impopolarità. Sancisce anzitutto la crisi di una sinistra riformista che in Europa rischia di finire stritolata nella morsa tra liberismo e populismo. Il caso francese è particolarmente emblematico. Una parte degli elettori di sinistra è già andata a votare alle primarie della destra, come ha fatto, e raccontato su questo giornale, Marcelle Padovani. Un fenomeno che in altri contesti può essere considerato persino fisiologico (negli Stati Uniti ci sono sempre stati democratici incalliti che si registrano come repubblicani, e viceversa), ma che nel caso francese appare la spia di un problema ben più grosso. Il punto, insomma, è se gli elettori di sinistra che hanno votato alle primarie della destra non si siano semplicemente portati avanti con il lavoro, essendo già rassegnati all’idea che le prossime elezioni riserveranno loro la possibilità di scegliere unicamente da quale candidato della destra farsi governare, tra la destra liberista di François Fillon e la destra populista di Marine Le Pen. A dirla tutta non sarebbe nemmeno la prima volta: nel 2002 ai socialisti toccò il surreale compito di fare campagna elettorale per il loro storico avversario, Jacques Chirac, pur di evitare la vittoria di Jean-Marie Le Pen (il padre di Marine). Ma questo attiene più agli inconvenienti del doppio turno e alle trappole mentali che può indurre negli elettori: nessuno immaginava che il candidato socialista, Lionel Jospin, potesse uscire dal ballottaggio, e così al primo turno l’elettorato di sinistra si disperse in una infinità di liste di sinistra radicale.

Il problema di oggi è invece esattamente l’opposto, e cioè che nessuno, nemmeno tra gli elettori socialisti, scommetterebbe un centesimo sul fatto che il loro candidato al ballottaggio possa arrivarci. E così la campagna elettorale già sembra ridisegnarsi su una linea di confine che taglia in due la sinistra francese (ed europea): con il conservatore e liberista Fillon a difendere i valori repubblicani contro l’ondata populista da un lato, dall’altro con Marine Le Pen a farsi paladina dei diritti dei lavoratori e del welfare minacciati dalla globalizzazione, dai burocrati di Bruxelles e dagli immigrati.

Per i socialisti francesi una simile scelta, al di là dell’esito scontato a favore di Fillon, rischia di somigliare alla libertà di decidere a quale albero impiccarsi. Perché a una parte almeno dell’elettorato quella decisione suonerà come la scelta definitiva tra i diritti dei lavoratori francesi e quelli degli immigrati, tra l’economia nazionale e il mercato mondiale, tra la retorica europeista e la loro vita. Non c’è bisogno di spiegare perché, messe così le cose, per la sinistra non c’è scampo. Il problema è che questa è esattamente la situazione in cui la sinistra rischia di ritrovarsi in buona parte dei paesi europei. E in un certo senso è anche quello che è già accaduto negli Stati Uniti con la vittoria di Donald Trump e in Gran Bretagna con la vittoria del fronte pro-Brexit.

Non per niente, su come la sinistra dovrebbe rispondere alla sfida populista, politici e osservatori di tutto il mondo sembrano dividersi grosso modo in due campi: quelli che sottolineano la necessità di far propria (ancor più e meglio di prima) la bandiera e l’agenda liberale da un lato, dall’altro quelli che suggeriscono la strada opposta, con il ricorso a una qualche forma di «populismo di sinistra» (o «light», o comunque connotato). Forzando un po’, potremmo dire che i primi votano Fillon, i secondi direttamente Le Pen.

Se un’altra strada esiste, deve passare evidentemente per una qualche forma di recupero delle esigenze di protezione e promozione delle fasce più deboli, non però attraverso la rinazionalizzazione della politica e la rottura della costruzione europea, ma attraverso la sua democratizzazione. Dall’apertura di una battaglia politica dentro l’Europa e dentro la sinistra europea non solo per uscire dalla soffocante gabbia dell’austerità, ma prima ancora per riscrivere la stessa filosofia su cui l’Unione è stata edificata.

Se l’obiettivo appare ancora troppo vago, oltre che ambizioso, si può ricorrere alla lettura di un recente libro di Salvatore Biasco, Regole, Stato, uguaglianza (Luiss University Press) che all’apertura di un simile fronte politico e culturale si dedica peraltro da diversi anni. Il problema è che, come scrive Biasco, la sinistra democratica e socialista ha «recepito non poco delle critiche liberali alla concezione socialdemocratica della cosa pubblica», impegnandosi in uno sforzo di «ammodernamento» in molti casi anche opportuno, andato però oltre il segno (specialmente in quegli anni 90 in cui si ponevano le basi della costruzione europea). Biasco non arriva a dire che dagli anni 80 in poi la sinistra europea abbia fatto proprio il «quadro analitico del pensiero neo liberale» (neppure nel caso del blairismo), ma certo «ne ha fatto proprie… le conclusioni, vale a dire le virtù delle politiche dell’offerta e del ritiro dello Stato».
Per quanto riguarda le proposte concrete con cui far uscire la sinistra (e l’Europa) da questo incantesimo, rinviamo al libro, che ne è ricchissimo. Alcune, peraltro, sono già oggi largamente condivise (in Italia), come ad esempio quella di eurobond o altre forme di mutualizzazione del debito. Dire però che queste scelte dovrebbero essere il cuore della battaglia dei socialisti europei è oggi, per un intellettuale, relativamente facile. Più difficile è confrontarsi con il fatto che non lo sono, per la semplice ragione che buona parte dei partiti socialisti d’Europa non le condivide (il che dovrebbe forse indurre anche l’autore in giudizi meno tranchant su quello che la battaglia condotta dal Pd in Europa ha finora strappato, dal principio di ripartizione dei migranti alla flessibilità, al piano Juncker). Difficilissimo, ma forse anche essenziale, è indicare luoghi e strumenti di una simile battaglia, che faccia dunque i conti con il fatto che nel Pse, per come esso è attualmente configurato, non è verosimile che quegli obiettivi possano aspirare mai ad altro che a qualche sfumata dichiarazione d’intenti (e non sarebbe scontato neanche questo).

Il fatto è che serve una proposta innovativa, coraggiosa e radicale della sinistra europea per sfuggire alla tenaglia tra liberismo e populismo, e serve ora. Se tempi e logiche del Pse e dei partiti che lo costituiscono non sono compatibili con una simile esigenza, le forze che si trovano in prima linea dovranno in qualche modo prendere l’iniziativa, prima che la tenaglia francese frantumi definitivamente quel che resta del socialismo europeo.

(L’Unità, 3 dicembre 2016)

3 commenti leave one →
  1. 05/12/2016 18:44

    Mi hai fatto tornare in mente un film che ho visto tempo fa, e che rifletteva proprio sul mondo della politica e sulle sue storture. Il film è questo: https://wwayne.wordpress.com/2014/01/08/il-fine-giustifica-i-mezzi/. L’hai visto?

    • 06/12/2016 21:09

      No, mi manca. Cercherò di colmare al più presto la lacuna

      • 06/12/2016 21:19

        Se ti va, poi fammi sapere come l’hai trovato. Se invece non dovessi più sentirti, per me avertelo fatto scoprire è già una grande soddisfazione. Grazie per la risposta! :)

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